Alentejo


Portogallo - Alentejo: l'ultimo paradiso d'Europa

"Nei paesi che ho visitato non sono stato solo solo il piacere segreto del viaggiatore incognito, ma la maestà del Re che vi regna, e il popolo che vi abita e tutta la storia di quella nazione e delle altre. Gli stessi paesaggi, le stesse case, li ho visti perché io sono stato loro, fatti in Dio con la sostanza della mia immaginazione." F.P.

Ora che ci penso, non ricordo com'è nato l’interesse per l’Alentejo, probabilmente la curiosità di vedere Évora, che fino a quel momento era rimasta fuori dai circuiti che avevo battuto. Un peso senz’altro rilevante l’ha avuto anche il fatto che questa zona non si trovasse sulle riviste come ‘regione turistica’ e la buona cucina portoghese, che già conoscevo, hanno fatto il resto.
Allora inizio a documentarmi, ma i soliti canali sono evasivi su tutta la parte a sud del Tago; Alem-Tejo significa letteralmente “di là dal Tago”, si perché questa immensa regione, la più grande del Portogallo, si estende tutta “dall’altra parte” del Tago (il fiume più importante del Portogallo) rispetto alla regione di Lisbona e del “più ricco” nord.



Ciò che caratterizza l’Alentejo sono, nella parte settentrionale, le colline morbide e i colori tenui, dal verde delle coltivazioni al marrone della terra fertile, dall’azzurro di frequenti sprazzi nel cielo e dal grigio delle nuvole che minacciano rovesci. Dal giallo dei fiori che chiazzano i pascoli, al verde oliva degli ulivi sparsi per le colline.
L’aspetto dell’Alentejo cambia scendendo a sud, sotto la linea che va da Sines a Beja. Il territorio diventa più piatto e monotono, senza l’armonia delle curve e delle piantagioni regolari, in modo abbastanza repentino.



L’Alentejo è stata da sempre la regione povera del Portogallo, qui il Nobel Saramago ha ambientato uno dei suoi romanzi più toccanti: “Una terra chiamata Alentejo”.
Il radicamento della gente è nella terra, la vita in funzione dei cicli stagionali, così profondamente integrata nel lento transito quotidiano del sole.
L’agricoltura, profondamentre vissuta nella quotidianità della società, ha permesso alle tradizioni di tramandarsi fino ai giorni nostri.

L’Alentejo è anche una regione fatta di confini, quello politico è quello ad oriente con la Spagna; come tutti i confini è stato spostato decine di volte creando una sorta di “zona franca” dove il Portogallo si fonde con la Spagna e viceversa. Ne sono un esempio i paesi spagnoli di Olivenza o Oliva de la Frontera che sfoggiano un marcato carattere portoghese. 


Ora il confine, da Badajoz fino in Algarve segue per lunghi tratti il corso del Rio Guadiana; ciò non vale per tutto il tratto del fiume, che la logica vorrebbe come barriera naturale, tuttavia il limite tra i due stati spostato più ad oriente rispetto al fiume sta a riprova del fatto che il confine ha subito continui spostamenti dettati dalla fame di conquiste dei sovrani rivali.
Il confine opposto è l’unico che si potrebbe ritenere inamovibile e, fisicamente, lo è, ma quello che per un semplice contadino corrisponde ad un limite invalicabile,come è un oceano, in passato è stato una rampa di lancio per sovrani temerari intenzionati ad aprire nuovi mercati e ad accaparrarsi nuove colonie.
Per le persone comuni dell’Alentejo l’oceano ha costituito, seppure per un breve tratto, un confine invalicabile; certo la vocazione per il mare non è la più spiccata di questa regione, ma la costa molto dolce è ora diventata fonte di reddito per un turismo ancora non troppo invadente.


C’è chi ha definito l’Alentejo “l’ultimo paradiso d’Europa”, e chiunque riesce ad ‘entrare’ in questo territorio troverà una parte di paradiso. C’è chi troverà il paradiso come la quiete del tempo che scorre, con il ritmo delle giornate, la pace degli occhi con un paesaggio imposto dalla natura e intaccato pochissimo dall’uomo. O più semplicemente un paradiso di silenzio, lontano anni luce dalla civiltà, ma raggiungibile in poco tempo (Évora sta a circa un' ora da Lisbona).
Qui in Alentejo regna la natura. Lo scenario con colline morbide e gli spazi immensi sono la cornice di ogni giorno, di ogni cammino in questa terra. E questa è la mia scoperta di questo territorio, non saprei dire se si tratta di un paradiso per chiunque prova a scoprirlo, di certo lo è stato per me e spero lo sarà ancora per molto.

Il primo approccio con Évora è alla ricerca di un ristorante per festeggiare l’arrivo in città; come al solito i pasti sono uno specchio della terra che impari a conoscere e qui non c’è stata eccezione.
Per questo la “Taberna tipica Quarta-Feira” è stata una bellissima sorpresa; si trova leggermente a nord del centro, in una zona molto tranquilla. Si inizia con i soliti paté spalmabili, ma in questo caso fatti dal ristorante stesso. Il resto del pasto è servito senza averlo chiesto perché in questo locale (come in altri) non c’è menù. Tutto speciale, compreso il vino della casa.
Una precisazione su questo modo di porre le pietanze: qui in Portogallo, almeno nei ristoranti più popolari, si usa portare a tavola, insieme ai menù (quando ci sono), un paio di paté, carne o tonno che sia, spesso confezionati. A questi paté, talvolta, si accompagnano olive con aglio (strepitose) o un piccolo formaggio tipico di queste zone dove, tolto il “cappello” rigido, l’interno è spalmabile senza essere fuso, un formaggio gustosissimo. Un antipasto del genere viene però pagato solo se consumato; nella maggior parte dei casi l’ho sfruttato fino in fondo chiedendo, spesso, il bis.

Évora è un paese ricchissimo di storia, che seimila (!!!) anni trascorsi hanno plasmato in una zona fertile a due passi dalla capitale. 6.000 anni, tanto antichi sono i siti di Menhir che è possibile scoprire in zona. 

Il “Cromeleque dos Almendres" è il più incredibile che si può vedere; non inferiore, nel suo contesto, a Carnac in Bretagna o a Stonehenge in Inghilterra. Lo spettacolo che mi ha regalato immerso in una nebbia buia, bagnato da una pioggia battente è stato indimenticabile. Il regno del silenzio, il regno dei riti ancestrali, il regno dei nostri antenati... Vorrei tornare là e vedere quella collina alla luce del sole di una giornata limpida. 
Vorrei vedere quel posto con la vista libera di spaziare per le basse valli dell’ Alentejo, fino ad Évora e scoprire che anche con il sole, quel posto è magico. Vorrei tornare là un giorno e ne sono sicuro, lo farò. Per ora ho il ricordo della nebbia e la certezza della magia, del mondo magico che per oltre un’ ora mi ha avvolto e quella sensazione di eterno perfettamente tangibile.
Tutta la zona intorno ad Évora e nell’Alentejo settentrionale pullula di siti megalitici, Menhir o grotte con tanto di pitture rupestri a testimoniare che queste terre si sono adattate da sempre alle esigenze dell’uomo.

Poi a Évora...
Se cammini tra i palazzi realizzi che il tempo, rallentando, si è esaurito nel ‘600 di questo secolo quando iniziò un declino inesorabile con il passaggio del trono portoghese alla Spagna. Proprio  questo declino ha permesso che l’aspetto del meraviglioso centro storico sia rimasto immutato fino ad oggi. 

Ad Évora è anche possibile andare alla ricerca di qualcosa di più e trovi dei resti romani, per cui ti rendi conto che in qualche angolo della città il tempo è fermo a 2.000 anni fa. 







Ma puoi anche solo sederti sulle panchine della piazza principale e guardare la gente passare con quei loro ritmi rilassati. Se guardi la gente, il tempo si è fermato agli anni ’50.





Bellissima la Praça do Giraldo, dove nel medioevo venivano eseguite le condanne enunciate dall’Inquisizione e a sud della quale si dirama l’antico quartiere ebraico (la Judaria) con un groviglio di vicoli acciottolati.

Sensazionale la cattedrale e la zona monumentale subito intorno, dove un tempio di epoca romana svetta imponente nella piazza.
Interessante la visita al ‘Palacio dos duques de Cadaval’; ciò che mi diverto a fare è immaginare i gesti quotidiani di chi ha abitato quelle stanze, di chi ha utilizzato quegli oggetti che ora rimangono dietro bacheche di vetro, disponibili all’occhio di chi paga il biglietto.


Ciò che mi ricordo più nitidamente sono, però, quei luoghi in cui ti sbatti solo per caso. Quelle porte di solito chiuse, nelle quali non saresti mai entrato se il fato non l’avesse lasciata aperta in quel momento in cui stai passando.
Così è accaduto con la Igreja da Misericórdia; questa chiesa si trovava proprio di fronte l’ingresso del mio albergo e nei giorni che ho trascorso ad Evora, era rimasta sempre chiusa.
Il 31 dicembre, l’ho trovata aperta. Gli Azulejos, piastrelle decorate tipiche del Portogallo, decorano tutti i lati di una chiesa dalla pianta semplice. Uno spesso telo di velluto scuro ne nasconde la vista dall’esterno, ma l’interno è un' esplosione di immagini e decori. Azzurro, bianco, giallo e verde. In questa chiesa ho passato quasi un' ora insieme ad alte venti persone che partecipavano ad una veglia funebre. Anch’io ero lì per lo stesso motivo. Ieri mi trovavo nel magico cerchio di pietre, punto di contatto tra la vita e la morte e in una semplice chiesa piena di colore è maturato il ricordo ed un magnifico saluto ad una persona importante  …

Non c’è la modernità ad Évora, non c’è la modernità in Alentejo. Questa terra è la terra dei nostri padri, dei nostri antenati. La terra costruita e plasmata in mille e più anni. La terra rivoltata con le mani, se necessario, la terra che con i frutti dava la vita, la terra che con la vita permetteva la vita.
Certo qui c’è acqua, almeno in inverno; qui c’è terra coltivabile e terreni “facili”. Ma che io sappia, mai è stata facile la vita di un contadino.

Vuoi scendere fino in paradiso? Vuoi vivere questa terra giusto un poco? Allora dobbiamo lanciarci alla scoperta di paesi e per non perdere tempo dobbiamo partire preparati. Évora è stato lo spunto, lo stimolo a muoversi ed ora dobbiamo scoprire se il resto non nasconde proprio nulla.





Alentejo - l'ultimo paradiso d'Europa. 2/3

"Il villaggio di [...] era un posto incantato: il più insolito, uno dei più interessanti, certo il più sereno e pacifico in cui sono stato. [...] 
Ma che non ci vada nessuno credendo di trovare quel che ci ho trovato io, perché ognuno fa di ogni cosa [...] quello che vuole, quello di cui, in quel momento, ha bisogno. E niente, niente come la fantasia aiuta a vedere la realtà."



Cinquanta chilometri a nord-est di Évora lungo l’autostrada che collega il Portogallo alla Spagna, si arriva ad Estremoz. 

Estremoz è un paese arroccato sul dolce pendio di una bassa collina; la parte bassa si sviluppa attorno alla piazza del ‘Rossio’ con ristoranti e bar, spicca nella piazza il convento dos Congregados del XVII secolo, oggi adibito ad altri usi. 
La parte alta è dominata dal castello e dal borgo medioevale. Nel castello, oggi trasformato in ‘Pousada’ (alberghi di lusso in residenze storiche, spesso gestiti dallo stato), è passata una parte della storia del Portogallo. Nel 1336 vi morì Isabella, moglie del re Dionigi e in seguito fatta santa; la regina abitò il castello fino alla fine dei suoi giorni. Sfortunatamente non sono riuscito a vedere la ‘Capilla de Santa Isabel’, presentata dalle guide come un gioiello di Azulejos. Il fatto è che l’ingresso è consentito solo se il custode è nella cappella, ma i nostri orari, non so per colpa di chi, non sono mai coincisi. La scoperta di Estremoz è passata anche per il mercato settimanale (sabato).


Sotto una pioggia battente, ho felicemente scoperto che un negozio di cinesi vende ombrelli ‘made in China’ e asciugamani ‘made in Portugal’. E’ infatti molto sviluppata in Portogallo l’industria del cotone di qualità.



Salendo verso nord fino ai confini dell’Alentejo c’è la Sierra de São Mamede con due perle da scoprire.

Castelo de Vide è il classico paese che ti sorprende già avvicinandoti, proprio il primo impatto mi servì da “scusa” per fermarmi qualche ora. Avevo come obiettivo di arrivare a Marvao, ma il poco tempo speso qui è stato gratificante.
Questo paese meriterebbe molto più di qualche ora; solo la “Judiaria”, l’antico quartiere ebraico, è un labirinto aggrappato alla ripida costa di un colle. Lo spirito dell’Alentejo, il silenzio e il colore di questa terra, li ho trovati in una bellissima e timida piazzetta che si apre in fondo ad una ripida scalinata. 






La ‘Fonte da Vila’, un’antica fonte che, insieme a poche altre, riforniva di acqua il paese, è coperta da un baldacchino di pietra ed è incorniciata da case bianche con colorati gerani ai davanzali. Case antiche come gli anni del Portogallo, non di più.
Il bianco e il silenzio sono i due caratteri peculiari dei paesi portoghesi, sembra una sorta di timidezza, di timore reverenziale; le uniche persone che si spingono fin qui sono solo portoghesi, o amanti del Portogallo, al massimo turisti spagnoli visto che il confine è vicino.
E’ vero che per alcuni secoli il ‘mondo’ cominciava ad ovest del Portogallo, oltre l’oceano. Durante l’epoca d’oro delle scoperte erano le navi portoghesi  che approdavano in altre terre, marinai ed esploratori come ‘turisti interessati’.
Arrivo finalmente a Marvao, città che già dall’aspetto si dichiara come sentinella rivolta verso quello che un tempo era un burrascoso confine con la Spagna.Paese circondato da mura difensive ed arroccato su una cima scoscesa; fuori le mura della città era annunciato l’imminente incoronazione a patrimonio dell’umanità UNESCO; immaginate se una semplice carta poteva stare fuori posto.
Case bianchissime e pitturate di fresco, le cornici di porte e finestre con i ‘soliti’ colori portoghesi: senape, azzurro ma anche rosso scuro. Nella parte alta del paese il castello e una piccola chiesa si affacciano oltre il dirupo a sentinella di probabili invasori spagnoli.
Il paese si trova al limite nord del ‘Parque Natural Sierra de São Mamede’ e la visuale che si apre versola Spagna è spettacolare, una vasta pianura da cui spiccano punte montuose relativamente alte; una leggera foschia nasconde l’orizzonte.

Mi re-immergo nell’Alentejo più autentico percorrendo la linea di confine fino ad Elvas, da sempre avamposto di frontiera. Il fatto che il confine si sia mosso sempre intorno a questo paese lo rende la ‘Dogana’ per definizione.

Di certo non è un paese nel puro e semplice senso del termine, il fatto che si incontrino negozi che vendono merce di tutti i tipi, tessuti, abbigliamento, spezie e prodotti agricoli, fa sembrare Elvas come un bazar tipico dei posti di frontiera.
La piazza principale si presenta come una scenografia imponente, le facciate dei palazzi non nascondono un passato florido del paese. Prima con i commerci tra popoli confinanti poi di contrabbando quando i due stati si sono trovati nel pieno di dittature.
La marcata pendenza della piazza concede un impatto imponente alla chiesa principale (In Portogallo si chiama Igreja Matriz) posta sulla parte più alta. Dietro la chiesa c’è una bellissima piazzetta triangolare che conserva, nel centro, un ‘pelourinho’ (il palo della gogna) moto lavorato. Tutti gli edifici che si affacciano sulla piazza offrono un colpo d’occhio che non lascia indifferenti.

Tra Elvas ed Estremoz c’è Vila Viçosa, un tempo (XV secolo) sede dei duchi di Bragança; quando l’ottavo duca divenne re del Portogallo come João IV, i duchi ampliarono il palazzo per ricevere le autorità. È sempre suggestivo visitare musei del genere, gli ambienti arredati con lo stile originale rendono tangibile l’atmosfera ormai dissolta della storia.


Una curiosità, nella sezione ceramiche sono esposti i piatti di corte e le ceramiche che decoravano il palazzo. Incuriosito da una ‘ceramica a riflesso’ ho letto: “Mastro Giorgio Andreoli – 1470-1550 Deruta, Italy”. L’errore è lampante ma la sensazione di tale scoperta è stata molto piacevole.

Il resto del paese si sviluppa intorno ad una piazza in leggera pendenza. Ai due lati minori stanno la cattedrale e il castello che, per l’occasione, è avvolto dalla nebbia. La piazza è piena di alberi di arancio, il verde intenso delle foglie e le arance attaccate ai rami risaltano sullo sfondo di bei palazzi bianchi, simbolo di un passato ricco.

C’è da dire qualcosa in più sui paesi portoghesi. Qualunque paese che ho attraversato, benché piccolo o sprovvisto di qualche ‘attrazione’ da guida turistica, offre sempre qualcosa di unico. Il centro è di solito caratteristico con case spesso ad un unico piano con  i muri pitturati rigorosamente di bianco e cornici di porte e finestre a colori sgargianti. In particolare la zona tra Estremoz, Vila Viçosa e Borba è famosa per l’estrazione del marmo bianco. Così perfetto da fare concorrenza a quello di Carrara.

Il marmo è tanto abbondante che spesso le strade sono lastricate di ‘sampietrini’ di marmo bianco. Anche la polvere, residuo del taglio, viene impiegata nell’impasto di vernice bianca usato per dipingere le case. I muri così dipinti assumono un aspetto vitreo, molto brillante soprattutto in assenza di sole; è facile immaginare la luminosità quando sono esposti all’impietoso sole portoghese.

L’Alentejo è anche una terra di ottimi vini con tanto di “percorsi” alla scoperta di cantine; ma io vengo dall’Italia e sono abituato bene. C’è da dire però che il vino alentejano non mi delude affatto. Ottimi i vini (ho apprezzato in particolare il Trincadeira) ed incantevoli le colline disegnate con filari bassi ed ordinati. AReguengos de Monsaraz è possibile visitare vigneti immensi con tanto di degustazione in ville stupende. E’ quello che ho provato all’”Erdade do Esporao”. Forse la cantina più rinomata dell’Alentejo, forse del Portogallo.

Odori e profumi impregnano una vallata ed uno specchio d’acqua. Senza violenza, senza suoni se non il leggero soffio del vento ed il cinguettio  degli uccelli. Anche questo è un angolo di paradiso.
Reguengos di suo non regala troppo, tipiche case bianche e il consueto orologio che fatica ad avanzare. Molto suggestivo, disperso nella quotidianità, l'usanza di accendere fuochi permanenti nel paese. 
Tradizione vuole che questi fuochi servano a scaldare Gesù appena nato. Ed il fumo e l’odore della legna bruciata rende ancora più ovattata l’atmosfera di ogni paese che percorro, ogni paese con persone intente a ravvivare le braci e perpetrare la tradizione, quasi fosse un voto.

Sono sulla strada per Monsaraz all’ora di pranzo ed attraversandoSão Pedro do Corval mi imbatto, per puro caso, in un ristorante affollatissimo. L’alta densità di persone chiaramente del posto lascia solo un paio di posti su un tavolo già occupato, mi accomodo. L’alta affluenza è indice di buona cucina e la mancanza del menù indica che si mangia quello che c’è. Ed in effetti il pasto è degno di un pranzo di domenica, sontuoso, abbondante e saporito. L’assenza del menù è un' “usanza” tutt’altro che inusuale in Alentejo. 


La spiegazione che mi piace dare è che non c’è mai stato cibo da sprecare. Per quanto mi riguarda preferisco questa formula, mi toglie dall’imbarazzo di voler assaggiare tutto e mi dà la certezza che tutte le portate che mi verranno servite saranno per forza il ‘piatto forte’ del ristorante.



Alentejo - l'ultimo paradiso d'Europa. 3/3







Monsarazcome Marvao, è il ‘tipico’ paese di frontiera. In cima ad una collina e con fortificazioni consistenti. La strada, che conduce qui, nasconde siti megalitici che danno un idea di quanto antica sia questa terra, di quante orme si siano sovrapposte prima del mio transito.



Il periodo in cui mi trovo qui è totalmente diverso dalla caldissima estate di Marvao, un vento costante, pioggia battente e un freddo non proprio pungente mi accompagnano tutta la giornata.
La foschia la fa da padrona, ma il bianco calce delle case dà una luminescenza onirica all’aria. Mi spiace sembrare logorroico, ma sono profondamente invasato per questo Portogallo rurale.
Al solito, un paese del genere si scopre con una lenta passeggiata alla scoperta di tutto ciò che si presenta davanti, senza guida, a ruota libera. Bella la piazzetta centrale, dove il palazzo del comune, che funge da museo, si affaccia. 


Bella anche la chiesa principale, la ‘cattedrale’ di Monsaraz che è perfettamente in armonia con il paese.
Il divieto di fotografare l'interno nasconde una Madonna che, le ridotte dimensioni, ma lo sgargiante manto celeste, fanno risaltare sull'oro delle decorazioni che la circondano.







Uno dei pezzi forti del paese è il castello, all’estremità sud del paese; quello che rimane impresso del castello è la bellissima "Plaza de toros" asimmetrica, ricavata nel cortile e il panorama che si gode dalle torri. Almeno per ora, questa densa foschia si è diradata su una spettacolare valle del Rio Guadiana, il rumore del vento e la luce spalmata dall’umidità conferma che il sogno è ancora reale, vivo.


L’acqua e il freddo nelle ossa rendono piacevole un aperitivo a base di vino alentejano, mocilla (il nostro sanguinaccio) e ‘presunto’ (prosciutto) della zona. Anche qui l’esperienza è completa; la vista è soddisfatta, gli odori sono ben impressi e il gusto è stato saziato. E’ ora di ripartire…


Proseguendo verso sud si arriva a Moura. Il paese è, stranamente per l’Alentejo, tutto in pianura. Vale la pena perdersi nelle strette vie acciottolate, il quartiere della ‘Mourarìa’, quartiere abitato da mori fino al 1492, fino a che, cioè, non vennero costretti alla conversione o all’ esilio da Don Manuel.








Il quartiere, come detto, è un labirinto di stradine strette, tra cui spiccano imponenti camini a torretta in stile puramente arabo.


La chiesa di Sao Baptista, subito fuori il castello, ha uno splendido portale in stile manuelino, il tipico stile portoghese che utilizza motivi di stile marinaresco con nodi e funi intrecciate. Eleganti edifici da ''aria un pò dismessa" sembrano troppo lussuosi per un paesino tranquillo come questo, sintomo di un rigoglioso passato ormai sfiorito. Poi il pranzo arriva ad impressionarmi ancora di più, cucina tipica in porzioni abbondanti ed un vino buonissimo.
In Alentejo è molto radicata l’agricoltura e l’allevamento di bovini; non potrebbe essere altrimenti visti gli immensi pascoli naturali di cui è dotata. Indubbiamente quest’abbondanza di “materia prima” si ritrova a tavola.
La cucina portoghese è di per se simile a quella italiana; olio, aglio, e poche spezie non diventano mai troppo invadenti. Inoltre un buonissimo olio d’oliva si abbina a qualsiasi cosa ad integrare la scoperta culinaria del paese davvero eccezionale. Contrariamente a quanto si creda in Portogallo si mangia anche baccalà (in almeno 365 modi diversi, ed è vero), ma non esclusivamente.
Zuppe di cavolo (il famoso ‘caldo verde’), aglio e prezzemolo, legumi; ma anche pesce, carne, verdure di tutti i tipi non fanno rimpiangere l’assenza dell’amata pasta italiana.







L’incontro con Serpa è avvenuto nel momento meno adatto per conoscere un posto nuovo, ma in tutte le situazioni nuove, dovrei saperlo, si nascondono sorprese.




E’ la tarda mattinata di un primo gennaio; in giro non ci sono molti segni che la notte di Capodanno si sia festeggiato molto, ma la città è comunque deserta. Il silenzio è spettrale e la città appare come è. L’impressione è quella di trovarsi in un presepe dove tutti i personaggi sono scomparsi, un presepe dismesso subito dopo le feste di Natale.
E’ proprio affascinante camminare sotto questo cielo bianco latte in un paese dove il minimo rumore sembra un' eccezione. Tutto è immobile. Perdere tempo in vicoli dove sembra che nessuno metta piede da secoli, trasmette una calda e rilassante quiete.
Le rovine del castello non sembrano particolarmente attraenti e la bella piazza subito fuori è sbarrata per lavori in corso; così mi è negato l’accesso alla chiesa che, paragonata alle altre incrociate, sembra essere la cattedrale.
Immagino come potrà essere la piazza sistemata e, mentalmente, mi annoto l’obbligo di tornare qui a Serpa. Non riesco ad immaginare questo posto con persone in giro  e negozi aperti, sarebbe come il brusco risveglio da un bel sogno; comunque tornerò.


Beja è conosciuta come il granaio del Portogallo e costituisce, secondo me, il limite tra l’Alentejo settentrionale paesaggisticamente più armonioso, da quello settentrionale più pianeggiante e più aspro.
L’Alentejo di Evora ed Estremoz si presenta con un terreno le cui morbide colline stanno perfettamente in sintonia con i colori tenui che inondano il paesaggio; quegli stessi colori che, con un semplice raggio di sole, splendono di vita propria. La vita stessa della terra e dell’Alentejo, questo ultimo angolo di paradiso.
Beja non sembra particolarmente ordinata, né troppo caratteristica. Beja è un paese di campagna dove i campi circostanti aspettano da una vita i contadini che quotidianamente lì lavorano.
Beja vive su una leggenda particolarmente ‘infuocata’ per l’epoca; la leggenda di una suora che nel XVII secolo scrisse lettere appassionate ad un ufficiale francese visto dalle grate del convento in cui viveva. La corrispondenza tra i due (non è dato sapere quanto di originale ci sia nelle lettere) ha dato scandalo dalla pubblicazione del 1669 fino ai giorni nostri. Tutt’ora il Portogallo vive la leggenda dell’amore passionale di Beja.
Inutile dire che il convento di Nossa Senhora da Conceicao è un attrazione non da poco e il museo allestito all’interno è molto interessante. Sale riccamente decorate con dipinti e affreschi d’epoca e la storia ‘minore’, quella che ha valore inestimabile per un paese disperso nell’immensa pianura alentejana, prende vita e plasma uno scenario degno di una storia d’amore tanto chiacchierata.











Degna di nota è la Igreja de Nossa Senhora dos Prazeres, subito a sud della Praza da Republica dove venivano messi alla gogna i mascalzoni in un passato non troppo lontano.











Gli affreschi che affollano la cappella sono eccezionali! La mia preparazione dal punto di vista dell’arte non è eccelsa, ma l’impatto che mi investe entrando in questo spazio limitato è di quelli da lasciare senza fiato. Colori accesi, dall’oro al rosso vivo al blu; scene religiose che i colori rendono interessanti a occhi profani come i miei.

Da Serpa verso sud scorre il Rio Guadiana, si tratta di uno dei fiumi più importanti della penisola iberica e parte del suo percorso, da Elvas verso sud, costituisce il confine naturale con la Spagna. Storicamente tale confine ha subito continui spostamenti, alcune volte a coincidere totalmente con il corso del fiume, ma non nella versione definitiva.
Da Serpa verso sud, il tragitto del fiume è stato protetto come ‘Parque Natural do Vale do Guardiana’. La parte che ho cercato con assidua testardaggine è quella descritta da Saramago in ‘Viaggio in Portogallo’.













Il posto in particolare si chiama ‘Pulo do Lobo’, letteralmente ‘salto del lupo’. Il percorso abbastanza ampio del Guadiana arriva in una cataratta di pochi metri di larghezza, le acque diventano impetuose e il fragore riempie la valle. Il posto è selvaggio, in mezzo a boschi radi e rocce granitiche come una ferita sulla crosta terrestre. Per arrivare bisogna fare almeno quindici chilometri su strada sterrata, ma con qualche indicazione stradale (non sempre facile da individuare e decifrare);  si arriva ad un cancello chiuso, il cartello appeso indica chiaramente che si tratta di una proprietà privata, ma più in piccolo (sono dovuto scendere dalla macchina poiché si avvertiva appena qualche tratto) sta scritto “per la visita del ‘pulo do lobo’ entrare e richiudere il cancello dopo il passaggio”. La stessa situazione era descritta nel libro di Saramago, un autore che ho letto ed apprezzato tantissimo. Queste situazioni che rivivo in prima persona dopo averle lette su un libro che mi ha appassionato, mi avvicinano a chi le ha scritte, mi avvicinano un po’ ad uno scrittore che definire grande non è affatto esagerato.

L'arrivo a Mértola avviene risalendo una collina boscosa che nasconde il paese fino a quando non ci si trova dentro. 














Mertola è stata persa dagli ultimi mori tra le colline solcate dal Guadiana, persa da mille anni da chiunque non l'ha mai cercata, scovata su una parete scoscesa come un vero museo sotto le stelle.
Niente produce rumore in questo paese, né il fiume, nastro vellutato di un marrone intenso, né le cicogne o tutti gli altri uccelli che, pur gridando, si fondono con questa magia.
Magia vissuta in tutto e per tutto, nei vicoli lastricati e sconnessi, contorti tra le fortificazioni che abbracciano le case e si chiudono alla sommità intorno al bastione principale. 










Ma il piatto forte che concede Mertola credo sia la piccola e bianca chiesa che ha sostituito l'antica moschea nello stesso edificio per nulla rimaneggiato. Ancora visibile il Mirhab (la nicchia verso cui si rivolgeva la preghiera dei fedeli) e la caratteristica forma rettangolare e "tarchiata".


Ho assaporato la magia in tutto e per tutto, passeggiando solo la notte nel buio rischiarato da poche lanterne e tentando di far entrare in me, con profondi respiri, l'atmosfera incantata di Mertola, ferma nel tempo.




Come ogni magia che si rispetti è già finita, accendo la macchina e mi avvio verso l'ultima tappa alla scoperta di questa splendida regione, vero e proprio rifugio per l'anima.
Mi rimane da vedere la zona che si affaccia sull'oceano Atlantico ma ho paura che il turismo di massa possa rovinare l'idea che mi sono fatto dell'Alentejo, per cui scelgo di andarci in inverno.


La zona costiera non ha località rinomate come in Algarve e propone vacanze molto più tranquille che le scalmanate località del sud. I due centri principali sono Zambujeira do Mar e Vilanova de Milfontes.
Le spiagge di questo tratto di costa sono occupate da spiagge estese, ma non tutte facilmente balneabili vista la presenza di scogli  fin oltre la battigia. La corrente oceanica costante segnala onde burrascose che rendono la zona un paradiso per i surfisti.


E' inutile sottolineare la portata dei tramonti che è possibile vedere da queste coste, quasi 365 immersioni del sole nelle acque del mare, tolti quei pochi giorni di pioggia che in un anno sono una percentuale piuttosto bassa.
Vilanova de Milfontes è un piccolo paese di pescatori, convertito al turismo da cause di forza maggiore. La fatica per la pesca è stata gradualmente sostituita dalla propensione innata ad accogliere stranieri che i portoghesi ed in particolare gli alentejani hanno nel DNA.
La parte del paese caratteristica è rimasta confinata in un fazzoletto di terra sulle rive del fiume "Mira" a pochi metri dallo sbocco in mare. Proprio sulle rive del fiume sono ricavate le spiagge più riparate dalle onde dell'oceano.




Poco a nord di Vilanova c'è il piccolo porto che, da un ingresso secondario della spiaggia, raggiunge una piccola baia riparata da una scogliera. Nella spiaggia limitrofa, di difficile accesso se non scavalcando gli scogli artificiali a protezione del porto, non è difficile vedere tutto l'anno grappoli di surfer che, a dispetto del vento, del freddo e giovandosi dalla forza del mare, cavalcano onde di alcuni metri di altezza.


La spiaggia più bella che ho visto su questo tratto di costa è proprio al confine con l'Algarve e, ironia della sorte, tutta nella provincia dell'Algarve. Si tratta della Praia de Odeceixe, a pochi chilometri dall'omonimo paesino, è composta da soffice sabbia dorata. Come dimensioni credo potrebbe contenere comodamente due campi di calcio e le poche case che coronano la scogliera sovrastante dichiarano tutto meno che l'appartenenza ad un turismo di massa.


Son voluto arrivare fin qui proprio perché questa spiaggia compariva sulla copertina di un numero di Meridiani sul quale, fin dal 2003, mi ero documentato su questa splendida terra che è il Portogallo.
La costa che da Vilanova sale fino a Setubal ed è occupata da un porto enorme come quello di Sines. La ciminiere delle raffinerie presenti in zona rovinavo la poesia di una costa e una regione quasi del tutto incontaminata.


Finisce qui il mio "viaggio" nell' Alentejo; più probabilmente si è trattato del mio viaggio "all'Alentejo", dove ho scoperto una terra umile e timida, con tinte tenui sia per quanto riguarda la natura che per l'umanità che la popola.
Viaggio all'Alentejo era un libro con cui mi ero documentato su questa terra e che definiva l'Alentejo, la regione più estesa del Portogallo, come "l'ultimo paradiso d'Europa".
Ora, dopo averla vista praticamente tutta (che presunzione!!!), dopo averne vista una buona parte, dopo aver visto i tratti che più caratterizzano questa regione, posso affermare con certezza che per me, l'Alentejo, ha rappresentato un vero e proprio angolo di paradiso.
Un paradiso fatto di umanità e di natura, fatto di campi e sole, pioggia e vento, fatto di odori e sensazioni, fatto di rumori che poco hanno a che vedere con l'uomo, ma molto con il suo interagire con questo angolo di mondo.


Un angolo così ai confini, così silenzioso che in tanti faticano a vederlo, che in molti non se ne accorgono finchè non arrivano qui o finchè qualcuno non li scuote per il braccio e gli fa notare di trovarsi in Alentejo, l'Alentejo, “l’ultimo paradiso d’Europa”.


"Il viaggio è finito.




Non è vero. Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. 






Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: <<Non c'è altro da vedere>>, sapeva che non era vero. 





La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito."

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