I mille volti di Pessoa per cogliere la realtà
«Sentire in tutte le maniere, vivere da tutti i lati»
Così iniziò il suo cammino di spersonalizzazione
Un uomo sale su un tram e osserva i viaggiatori che gli siedono di fronte. In realtà li guarda senza distinguerli, perché gli interessano soltanto i «dettagli». Dunque si concentra in particolare su una ragazza, separando mentalmente il vestito che indossa «dalla stoffa di cui è fatto e dalla lavorazione che è stata necessaria a cucirlo». Lo colpisce «il ricamo leggero che orla il colletto», una linea verde scuro sul verde chiaro dell'abito, e subito «vede» la filanda dove la fibra di seta è stata ottenuta, le sezioni della fabbrica, le macchine, gli operai, le sarte, gli uffici, i contabili, i dirigenti. In un velocissimo flusso di percezioni, entra nelle case di quelle persone, in regioni lontane, e intuisce il significato delle esistenze di ognuno, gli amori, i segreti, il loro spirito. È un attimo. La testa gli gira. Scende dal tram esausto e sonnambulo. Ha «vissuto tutta la vita».
Questo squarcio rivelatore del Libro dell'inquietudine lascia capire i meccanismi con cui si accendeva e prendeva energia la sensibilità quasi sciamanica di Fernando Pessoa (Lisbona 1888-1935) e ci permette di intuire come funzionava l'inafferrabile enigma della spersonalizzazione e della compresenza. «Sentire tutto in tutte le maniere, / vivere tutto da tutti i lati, / essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo stesso tempo / realizzare in sé tutta l'umanità di tutti i momenti / in un solo momento diffuso, profuso, completo e distante». Ecco: è con tale processo di lampeggiamenti simultanei che certi «inquilini sconosciuti» rischiaravano le ombre della sua mente in un continuo dialogo con lui, che come un medium li aveva chiamati - in modo di essere «non tanto uno scrittore quanto un'intera letteratura» - da un altrove che stava già dentro di sé. Erano gli eteronimi. Cioè, letteralmente, «altri nomi», nuclei vitali di individui autonomi e diversi da lui, pur essendo proiezioni del suo pensiero. Dei figli-fratelli generati dal Pessoa ortonimo, cioè il Pessoa lui-stesso, a sua volta allievo di un eteronimo. Una folla di alter ego del poeta (tra eteronimi e semieteronimi ne sono stati censiti una cinquantina, ma per alcuni sarebbero addirittura più di settanta), affiorati da un continuo gioco di autofecondazioni, reincarnazioni, dissociazioni. Ciascuno con propria dimensione, pronta a interferire con quella degli altri. Concepiti con fisionomie fisiche, schede anagrafiche, professioni, biglietti da visita, stili, idee politiche e morali, manie e persino segni zodiacali differenti.
C'è un giorno preciso in cui questa identità vertiginosa comincia a manifestarsi, l'8 marzo 1914, quando Pessoa colto da una specie di «estasi» compone di getto trenta poesie, firmandole come Alberto Caeiro. E immediatamente dopo gliene escono altre sei, di altra musicalità e ritmo, a sua firma. È l'inizio di un vortice di continui sdoppiamenti, scissioni, sottrazioni, amputazioni che trova più di una analogia nella storia della letteratura. Infatti, se il portoghese definiva la propria ansia di totalità e la propria anima multilaterale spiegando di sentirsi «multiplo» come «una misteriosa orchestra», l'americano Walt Whitman delle Foglie d'erba non molti anni prima aveva scritto di sé: «I am large, I contain multitudes».
Ma quelli di Whitman (di cui non a caso è discepolo l'eteronimo Álvaro de Campos) come di Hölderlin e di qualche altro sono solo pallidi precedenti, rispetto alla potenza del «drama em gente», dramma fatto persona, che è la cifra dell'opera plurale e con un quid anche esoterico di Pessoa. «Mio Dio, mio Dio, a chi assisto? Quanti sono io? Chi è io? Cos'è questo intervallo che c'è fra me e me?» E confessa ancora: «Per creare, mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi».
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Fernando António Nogueira Pessoa (Lisbona, 1888–1935) è considerato uno dei maggiori poeti portoghesi e, per il suo valore, è comparato a Camões. Il critico Harold Bloom lo definì, con Neruda, il poeta più rappresentativo del XX secolo |
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Una interpretazione di Pessoa di Fabio Sironi |
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